Un dubbio atroce mi tormenta, consegnando le notti brevi del solstizio estivo a un profondo struggimento: Cosa mai direbbe Orazio, se vi s'imbattesse durante una delle sue ecopedalate politically correct, al prodigo primo cittadino di Sorrento, Peppino Mecenate (con il danaro altrui)?
Quinto Orazio Flacco, ritratto di Giacomo Di Chirico
Si dà il caso, infatti, che sotto il suo alto patronato la città abbia ospitato, nell'indifferenza generale, una manifestazione culturale di mondiale irrilevanza intitolata - absit iniuria verbis - alla memoria di Biagio Agnes.
Alla cerimonia di consegna del premio dedicato all'ex direttore generale della RAI, un vero parterrre de roi: presenti, infatti, in un intreccio proteiforme di politica, spettacolo, imprenditoria e informazione, il gotha del giornalismo patrio, un paio di ex boiardi di Stato, politici, politicanti e governatori, una pletora di starlette televisive, la crème del milieu autoreferenziale pseudointellettuale di sinistra (vellutate sopravvivenze cachemire della decaduta gauche caviar cattocomunista) e financo l'ambasciatore italiano presso la Santa Sede.
Ebbene, il Comune di Sorrento ha stanziato - è lecito supporre con l'imprimatur di Peppino Mecenate - la somma esiziale di 120.000,00 Euro (centoventimila), di cui ben 65.840,00 (sessantacinquemilaottocentoquaranta) destinati alle strutture alberghiere presso cui pare abbiano dimorato le auguste personalità convenute per officiare la trita liturgia mondana celebrata al borgo di Marina Grande.
"Auguste", si diceva. Degna di un Princeps, infatti, l'accoglienza loro riservata: ben quaranta, a quanto sembra, le camere prenotate presso l'Excelsior Vittoria (la Casa più prestigiosa - e più costosa - tra le tante del Paese).
L'aggettivo sostantivato "augusto" ha la propria radice nel verbo latino "àugeo", che significa "arricchire", "aumentare", "accrescere"; "àuctor" era "is qui auget", ovvero colui il quale, per il tramite di una "forza inerente e promanante dalla sua persona" legittimava una condotta pregiuridica sancendone l'ingresso nella sfera del rilevante giuridico. Colui il quale, in altre parole, dava "forma" alla "sostanza".
Orbene, mi chiedo - e chiedo a voi, lettori arditi -, è lecito immaginare che starlette, politicanti e intellettuali capalbiesi d'adozione possano aver dato lustro (e, dunque, "arricchito", "accresciuto", "aumentato" il prestigio e la notorietà nel mondo) alla celebre città delle Sirene? Oppure, com'è ragionevole pensare, allo stesso modo in cui fu Napoli ad "accrescere la fama dei Borboni ben oltre i loro meriti", siano stati essi a risplendere della sua luce abbacinante?
Vi par dunque accettabile - facendo la tara ai tanti problemi sui quali si sarebbe potuto incidere impiegando diversamente il danaro dilapidato per le suite imperiali dell'Excelsior - che i soldi dei cittadini siano stati inceneriti per alimentare un vacuo, inutile, algido falò delle vanità che nulla lascia in eredità se non cospicue prebende agli albergatori sorrentini?
Se davvero animate dall'afflato, vi chiedo, non avrebbero potuto, le auguste presenze intervenute, piamente soggiornare a spese proprie anzichè gravare sulle esauste casse dell'Amministrazione?
EST MODUS IN REBUS.
Così, dunque, avrebbe forse apostrofato Orazio il novello Mecenate sorrentino. Aggiungendo, magari, che sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum ("vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto").
V'è una misura in tutte le cose, insomma.
Bisognerebbe forse campeggiasse, questa antica verità, sul fondo rosso dello stemma di Sorrento. Memento magno a beneficio dei primi cittadini che in futuro fossero tentati dalla vanagloriosa, inutile lusinga dell'effimero in tempi tempestosi di crisi e austerità.